Gli scopritori della tomba perduta

21 Agosto 2007

Da Il Tirreno, 19 agosto 2007 | Scarica il PDF.

Ha i contorni della favola, e sta facendo il giro del mondo proprio per questo, il ritrovamento della tomba etrusco-romana di Casenovole, risalente al terzo secolo avanti Cristo, un vero tesoro, nell’entroterra maremmano, a un passo da Casale di Pari. Addirittura l’Herald Tribune, quotidiano di proprietà del New York Times, gli ha dedicato un ampio spazio. Proprio perché di una bella favola si tratta. Con antiche dicerie e leggende che si trasformano in realtà, con tesori che riemergono dal passato e giovani appassionati che divengono degli Indiana Jones.

In ultima analisi, però, è la storia di uno studente di archeologia, Andrea Marcocci, e dei suoi amici (un altro laureando anche lui in archeologia, un paio di architetti e altri appassionati di cose antiche) che sono nati e hanno vissuto da ragazzi a Casale di Pari, a Pari, a Civitella Paganico, tutti paesi vicini l’uno all’altro, che hanno sentito fin da bambini le storie dei vecchi sui cocchi che si trovavano nel bosco di Casenovole, hanno trovato anche loro frammenti antichi, piccole cose ma capaci di far galoppare la fantasia, e alla fine hanno deciso di cercare quelle tombe che dovevano esserci da qualche parte, sotto terra. E l’hanno trovate. «In verità – spiega Andrea Marcocci – ci siamo preoccupati perché il bosco che proteggeva la zona delle leggende venne tagliato e abbiamo temuto che a quel punto i tombaroli sarebbero entrati in azione, portando via tutto». Così è nata una associazione archeologica (Odysseus) formata tutta da dilettanti, da giovani. Hanno cominciato a fare ricerca archeologica di superficie e quando l’area è stata abbastanza definita Andrea e i suoi amici hanno trovato segnali abbastanza chiari: «Si vedeva – ricorda – una buchetta piccola, quasi una tana di istrice che però, osservata bene, lasciava capire tante cose a chi sapesse leggerle». Qua sotto c’è qualcosa e meriterebbe dare un’occhiata, si son detti. Scavare. Ma come ottenere i permessi? Li ha aiutati la responsabile di zona della Sovrintendenza, la dottoressa Barbieri, e così hanno avuto via libera per la «ripulitura di un paio di tombe romane».

Felicissimi Marcocci e i suoi amici si sono aramati di picconi e pale e hanno cominciato a scavare sentendosi tanti Indiana Jones. «Un’emozione grandissima», confessano. «Anche se – aggiungono – eravamo convinti che, se di tombe si trattava, le avremmo trovate già violate e ripulite da chissà chi, nel corso dei secoli». La passione, la voglia di scavare, con il cuore che batteva forte ad ogni pugno di terra che veniva levato… La certezza di averci azzeccato, perché quasi subito è affiorato il dromos, il passaggio di ingresso della tomba. Poi – era la sera di due venerdì fa – un tuffo al cuore: dalla terra sono emerse le prime anfore cinerarie. «Un’emozione grandissima – dice Andrea Marcocci – la commozione di vedere qui resti di persone inumate. C’erano urne sulle quali avevano pianto le persone care di quei morti, e che poi nessuno aveva più violato. Incredibile. Ci pareva di sognare, non riuscivano a separare il vero dalla illusione. Quasi non ci credevamo. Ed è andata avanti così via via che si procedeva nello scavo». Ora gli archeologi dilettanti stanno vivendo all’interno di un sogno. Ma domani, proprio il 20 agosto, dovranno fermare i lavori. «Che però riprenderanno», promettono.

Ma, chiediamo, delle tombe indicano un insediamento umano, un villaggio almeno. Sapete dove possa essere? Qualcuno butta là l’ipotesi che potrebbe essere stato un insediamento costruito a fianco dell’antica strada etrusco-romana che dalla costa portava alle potenti città dell’interno. «Potrebbe essere – riflette Marcocci – perchè qui siamo in una zona interessante. A Pari (poco distante) sono stati trovati vasi decorati a figure rosse e nere. Qui passano fiumi importanti come l’Ombrone, il Farma, il Merse… Poteva essere un insediamento lungo quella che fu la “Senese” di 2.300 anni fa».
Un ritrovamento che ha destato grande entusiasmo e curiosità fra la gente che vive da queste parti e che sente come proprie queste tombe e questi ritrovamenti. «Mi piacerebbe – riflette Andrea Marcocci – che tutto fosse condiviso con la nostra gente. Perché in fondo è roba anche loro. Di loro che sapevano, da sempre, dei frammenti antichi che affioravano nei boschi, e si tramandavano la notizia come fosse una favola, da padre in figlio».

Claudio Bottinelli, 19 agosto 2007